LE ORIGINI DELLA SANTUZZA

Sant'Agata nacque dalla famiglia dei Colonnesi o Colonna. Per molti secoli, gli studiosi palermitani e catanesi ne hanno conteso le origini. Finalmente, quasi per tacito accordo, giunsero alla conclusione che la Santa dovette nascere a Palermo, ma subì il martirio a Catania. Sembra che la giovane fosse una abile tessitrice e che, promessa ad un uomo che lei non amava, usò lo stesso stratagemma della Penelope dell'Odissea: lo avrebbe sposato al completamento della tela. Ovviamente non si hanno certezze su questa notizia, mentre sono certissime le drammatiche vicende con Quinziano, prefetto dell'imperatore Decio, nel 251, artefice del suo atroce martirio.

Intorno al 1041 il generale bizantino Giorgio Maniace, combatteva in Sicilia Orientale, una lotta contro gli arabi, che spadroneggiavano da circa un paio di secoli. Maniace era un abile stratega e dotato di una notevole prestanza fisica e ciò causava la gelosia dell'imperatore di Bisanzio che lo richiamò in patria. Maniace obbedì ma portò con se le reliquie di Sant'Agata.

Catania rimase priva delle reliquie della Santuzza per oltre ottant'anni, durante i quali arabi e bizantini vengono spodestati dai Normanni, che riportano la pace nel regno. Con la nomina del re normanno Ruggero II si insedia il Vescovo Maurizio che in seguito lascia un'epistola (custodita nell'Archivio Capitolare della Cattedrale) dove spiega come le reliquie della Santa rientrarono a Catania.

Pare infatti che, due santi uomini che vivevano a Costantinopoli, Giliberto francese e Gosolino calabrese, si offrono di trafugare le reliquie per riportarle a Catania. Oltre al pericolo di essere scoperti, essi dovettero affrontare le tempeste che si abbatterono sul loro vascello. La furia del mare li spinse a Smirne, poi a Corinto ed infine a Taranto, da dove raggiungero Messina. Finalmente in terra siciliana! Gosolino, con le Sacre Reliquie, si rifugiò in casa un devoto, mentre Giliberto corse al Castello di Aci, dove lo attendeva il Vescovo Maurizio. Questi, in preda a grande gioia e commozione, inviò a Messina due monaci, Oldomano e Luca che, prelevate le reliquie, le consegnarono al Vescovo il quale, a piedi nudi e con un gran seguito, le accompagnò a Catania. Era la notte del 17 Agosto 1126.

Finalmente i catanesi iniziarono il loro rapporto amoroso con Sant'Aituzza, rapporto che tutt'oggi non accenna ad affievolirsi. Per i primi tempi anzi, i condottieri della 'Bara' furono chiamati 'gli ignudi' perchè andavano a piedi scalzi e gambe nude, seguendo l'esempio del Vescovo Maurizio.

Il 4 Febbraio del 1169, sotto il regno del buon Guglielmo II, mentre i catanesi festeggiavano la Santa, la terra tremò. Le mura del Duomo vacillarono e crollarono sui fedeli. I pochi sopravvisuti assistettero ad uno spettacolo allucinante: Catania era rasa al suolo e 15.000 cittadini giacevano sotto le macerie.
Da quel giorno i catanesi affidarono alla Santuzza il compito di proteggere la città dalla lava e dal terremoto.

SUCCESSIVAMENTE...

Nel 1300, Marziale, Vescovo di Catania, incaricò l'artista senese Giovanni Di Bartolo, di creare un Busto d'argento, con smalti e ceselli, per raccogliere il teschio della Santa. L'opera fu eseguita nelle officine di Limoges e terminata nel 1376. Fu presentata ai catanesi dal vescovo Elia, succeduto a Marziale. Il Sacro Velo di Sant'Agata, fu considerato sempre miracoloso ed in grado di fermare le colate laviche più violente. Esistono testimonianze dirette, tra le quali quella di un tal Paolo Torrisi. Durante l'eruzione del 1536, il Sacro Velo, opportunamente disteso sulle sue vigne, le risparmiò da distruzione certa.

Anche il Sacro Velo ed altre reliquie trovarono una degna collocazione nella seconda metà del '500. Un prezioso cofano d'argento, di forme gotiche e con statue di santi, opera dell'artista siciliano Vincenzo Archifel e dei suoi allievi. Ad esso si sovrappose un coperchio attribuito all'artista Paolo Guarna, catanese.

Il tutto trovò posto nello splendido fercolo d'argento, iniziato da Vincenzo Archifel e completato da Paolo d'Aversa nel 1638. In esso è possibile ammirare la corona donata da Riccardo Cuor di Leone, che durante il suo viaggio in Terra Santa, si fermò a Catania, ospite di Re Tancredi, un anello donato da Gregorio Magno, la croce pettorale di papa Leone XIII quando era vescovo di Perugia e tante altre preziosità del tesoro di S.Agata.

LA FESTA

Nel 1500, fu inaugurato il 'giro esterno'. Il fercolo era preceduto da un capitano a cavallo e seguito da signore e giovinette in sacco bianco e cappello col velo.
Il fercolo non aveva ancora le ruote, ma si muoveva su mezze lune di ferro ed iniziava il giro varcando la porta 'De li Canali'. Costeggiando le mura, passava avanti al Baluardo di S.Agata, al Bastione Piccolo e al Bastione Grande, superava la Porta di Ferro e il Bastione di S.Giuliano e, attraverso la Porta S.Orsola, rientrava in città per fermarsi nella Chiesa dell'Annunciata dei Padri Carmelitani. Dopo una breve sosta, continuava verso la Porta di Aci, curvava per il Bastione della Calcarella, usciva dalla Porta del Re e sostava in S.Agata la Vetere. Riprendendo, costeggiava il Bastione degli Infetti e percorrendo la via degli Argentieri (oggi pressappoco via Vittorio Emanuele) rientrava in Cattedrale.

Alvaro Paternò nel suo 'Cerimoniale' descrive il Bastione degli Infetti come luogo pericoloso. Lì infatti, degli individui incappucciati e vestiti con un lungo manto, disturbavano la processione, spesso con azioni oscene. Per tale motivo la Bara venne in seguito dirottata per la Porta del Console.

Il 5 Febbraio si effettuava il 'giro interno'. Il fercolo passava via delle Luminarie, dove ardevano altissimi tralicci sormontati da lumi ad olio. Da lì a poco, si ripeteva la spettacolare corsa fino in cima alla salita di S.Giuliano. La festa si concludeva con magnifici fuochi d'artificio nel Piano della Marina, del Castello Ursino, di D. Perruccio e degli altri Balovardi.

I cerei, detti 'Cannalori' (Candelore) hanno subìto dei mutamenti significativi. Riccamente intarsiati, decorati e ornati, erano e sono ancora, omaggio alla Santa da parte delle varie confraternite religiose. Nel '500 ogni cereo era accompagnato da 2 consoli e dagli artigiani di quell'arte. Iniziava il cereo dei confettieri (in seguito scomparso) e concludevano i marinai che non avevano cereo ma portavano 2 stendardi con dipinte le carte nautiche. Chiudeva il corteo, il Rettore con gli studenti. Nel '700, le Candelore erano precedute dal cereo di Monsignor Ventimiglia, in seguito distrutto dai bombardamenti. Nell'800, come narrano Pitrè e Salvatore Marino, le Candelore procedevano appaiate, secondo il seguente ordine:
Giardinieri (a destra) e Primo Cereo Rinoti (a sinistra), Pescivendoli e Fruttaioli, Pizzicagnoli e Pastai, Macellai e Bettolieri, Fornai e Circolo S.Agata.

Tratto da 'Quaderni su Catania' - Edizione Giuseppe Massa

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